E' vero che siamo in Europa; è vero che l'inglese è la lingua veicolare che fa la parte del latino ai tempi dell'Impero Romano. E' anche vero però che stiamo esagerando nell'adozione di termini inglesi per descrivere situazioni e cose che hanno un corrispondente e talvolta banale vocabolo italiano. Facciamo esempi concreti: ieri al tg si è parlato della possibilità di co-working per le mamme: tale termine d'Oltremanica ha ben più di un omologo in lingua italiana: lavoro condiviso, lavoro di gruppo, lavoro insieme.
Negli annunci sui giornali una delle figure professionali più ricercate in questo momento è il sell assistant, letteralmente assistente alla vendita: un banale rappresentante o venditore porta a porta. Sempre tra gli annunci di lavoro si specifica che alcune figure sono richieste per un call job: è il solito banale, antichissimo e comune lavoro a chiamata. E a proposito di lavoro, i famosi job acts che il governo Renzi proclama a gran voce altro non sono che: azioni per il lavoro.
Parliamo di economia: il famigerato spread si può tradurre in molti modi italianissimi: divario, differenza, scarto. Le agenzie di rating non sono che agenzie di valutazione.
La conclusione è che se l'inglese è una lingua degnissima, la lingua di Shakespeare, l'italiano lo è altrettanto, in quanto lingua di Dante. E qualcosa mi dice che il poeta italiano non abbia nulla da invidiare al drammaturgo inglese.
Osservazioni sacrosante!
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