La Pelata: un monte che è sempre stato al centro dei racconti dei vecchi del paese e dei miei famigliari, i quali ricordavano la vita rurale di una volta quando su quei monti si andava alla ricerca di fragole e altri frutti di bosco, quando i pastori portavano al pascolo le loro pecore e si fermavano a dormire nelle loro capanne di pietra, quando la legna si bruciava per fare il carbone. La Pelata: un monte che è sempre stato nei miei pensieri e nel mio immaginario, un monte che riesco a vedere praticamente da casa, ma sul quale non sono mai stato. E così, quando casualmente, ho visto sulla pagina Facebook dell'associazione Trekking TaroCeno che il primo aprile era in programma un'escursione proprio sulla Pelata, la suggestione è stata troppo forte e così sono andato a vedere i dettagli del programma, scoprendo con piacere che la guida è Maria Molinari, una ragazza che conosco da qualche tempo e so essere seria e affidabile . La contatto via Facebook e lei si propone di telefonarmi il giorno dopo per darmi qualche dettaglio in più. Una promessa mantenuta, quella telefonata, nella quale approfitto per avere qualche consiglio su abbigliamento e alimentazione per far fronte ai 14 chilometri dell'escursione: in effetti qualche camminata quando posso la faccio ma sempre per tratti molto più brevi e non posso certo considerarmi allenato. Appena finita la conversazione, mi fiondo in un negozio di abbigliamento sportivo di amici per acquistare il necessario. Giunto a casa mi propongo, nel quasi-mese che manca alla data dell'escursione di fare qualche camminata per allenarmi: in effetti ci riesco anche se in maniera del tutto casuale. Il problema vero è che due giorni prima dell'escursione mi assale il mal di schiena, ma ormai sono troppo intrippato: non voglio rinunciare alla Pelata e poichè il dolore è sopportabile vado in farmacia a Berceto a chiedere un rimedio dall'effetto immediato. Posso dire che l'amico farmacista mi ha consigliato davvero bene, poichè, e qui faccio un salto in avanti, il giorno dopo l'escursione il dolore alla schiena mi è completamente passato, oltre a non aver avuto crampi o indolenzimenti di sorta. Ma tornando all'escursione , il ritrovo è previsto sul Passo della Cisa alle 9 e 30: passo prima da Montelungo dove devo prendere Giovanna, socia molto attiva dell'Associazione Via Francigena Alta Lunigiana che ho l'onore e di presiedere, e appassionata di trekking: ma quando la vedo sul terrazzo con una faccia da funerale capisco che c'è qualcosa che non va e sul momento penso che abbia rinunciato all'escursione ritenendola troppo impegnativa. In realtò, mentre mi offre un caffè e la vedo zoppicare vistosamente, capisco qual'è il problema: il suo ginocchio ha fatto le bizze. Dispiaciuto vado sul Passo della Cisa dove, mentre verso la quota di iscrizione a Maria, alle spalle mi saluta Alessandro, tesoriere dell'Associazione di cui sopra, giunto con un'amica per partecipare all'escursione, che si preannuncia essere un cammino affascinante su un crinale che divide due regioni. Verificata la presenza di tutti e l'assenza degli indisponibili , si parte: ci fermiamo quasi subito ai piedi del Santuario della Cisa, davanti al monumento a Giuseppe Molinari, ( il comandante partigiano " Birra") i e Achille Pellizzari: due eroi della Resistenza della quale Maria traccia un approfondito e affascinante ritratto. Seconda pausa davanti alla Porta Toscana della Via Francigena, dove anche la mia associazione ha messo un cartello indicante un percorso alternativo della Via Francigena ufficiale: la Via Francigena di Montelungo. Noi infatti siamo nati poichè non potevamo accettare che nel tratto pontremolese ufficiale venisse escluso Montelungo, documentato, come trentaduesima tappa nel diario di viaggio dell'Arcivescovo Sigerico, di ritorno da Roma a Canterbury. Sigerico lo chiamava Sce Benedicte e infatti San Benedetto è il patrono del paese, a cui è intitolata la chiesa parrocchiale. La tradizione vuole inoltre che nel Palazzo, lo storico edificio, oggi di proprietà del mio tesoriere e situato lungo la via che noi difendiamo a Montelungo, avesse sede lo xenodochio dei pellegrini, cioè l'ospitale per i viandanti, e che fosse gestito dai monaci benedettini. Maria mi concede l'onore di un breve discorso sui nostri scopi e su ciò che stiamo facendo per recuperare la via storica, prima di addentrarci nei boschi, dove suscita subito la curiosità una pianta molto presente sul sentiero, che risulta essere aglio orsino. Si prosegue e si arriva a uno dei tanti cippi di pietra che delimitavano il confine tra Granducato di Toscana e Ducato di Parma e Piacenza ai tempi di Maria Luigia d'Asburgo. Qui Maria si sofferma a spiegare il fenomeno del brigantaggio e l'importanza del presidio umano nelle zone di confine. Il cammino prosegue fino a un vecchio rifugio dell'ahimè soppressa ( e inglobata nei carabinieri) Forestale: tutti non possiamo fare a meno di notare che la coperturà è in eternit e quando qualcuno deciderà di eliminarlo dovrà spendere un bel po' di soldi per lo smaltimento. Da qui in poi il percorso si fa più duro: cominciano le salite, e che salite! Per fortuna, davanti a ciò che resta di una vecchia capanna in pietra dei pastori, si fa una pausa e la nostra brava guida si addentra ancora una volta nella storia, raccontandoci della tradizione dei pastori in queste zone, facendo immaginare al nostra palato il sapore di quella ricotta e di quel formaggio genuino che oggi non si trova quasi più. Mentre continuiamo la salita verso il Monte Pelata, non posso fare a meno di notare i vari cartelli indicanti le varie riserve di funghi: c'è quello della Giogallo, la Cooperativa di Succisa che abbraccia anche Montelungo e Grondola, c'è quello del Consorzio di Valorizzazione dei Boschi di Corchia- Bergotto e Valbona e più avanti, nel borgotarese, ci sarà anche quello delle Comunalie di Baselica. Prima di giungere in vetta alla Pelata,nell'ultimo tratto spiccano tanti cippetti regolari dove da un lato è incisa una P e dall'altro una B ( Pontremoli- Borgotaro? Forse tracciano un confine. O magari la B sta per Berceto, visto che una volta a Berceto apparteneva la frazione di Belforte, che è sotto di noi nel versante emiliano, e che oggi si trova nel Comune di Borgotaro) ma ci sono anche cippetti dove sono incisi dei numeri, probabilmente termini di confine tra le varie proprietà. Dimenticavo: tra le cose viste prima di giungere sull'ambito monte, anche diverse carbonaie. Maria si destreggia tra il racconto sulla produzione del carbone, mostrandoci anche delle illustrazioni, e i vari sentieri: a volte seguiamo il famoso sentiero 00 di crinale, e a volte ne usciamo prendendo i cosiddetto < scurtoni> che conosce lei: quel che è certo è che la nostra guida conosce questi posti come le sue tasche, sembra che Maria e la montagna siano una cosa sola. A mezzogiorno e quindici comunque, con oltre un'ora di anticipo rispetto al previsto, giungiamo sul Monte Pelata, 1428 metri di bellezza e di panorama mozzafiato: si vedono gli Appennini, le Alpi Apuane, il monte Cusna, Montelungo, la Valdantena, Pontremoli e la Lunigiana. Vista l'ora la pausa pranzo con uno spettacolo del genere sotto gli occhi più che un diritto è un dovere. E dopo lo spuntino, si riprende il cammino: dopo pochi minuti ci aspetta il punto più pericoloso di tutta l'escursione: un ripido e stretto sentiero in discesa, sotto il quale si apre un precipizio che, per quanto io non soffra di vertigini, mi fa pensare che se metto male i piedi e cado non sarà facile ritrovare le mie ossa. Ma con calma e sangue freddo giungiamo tutti al termine dello scosceso sentiero e ci immacchiamo nuovamente diretti verso il Lago Martino, nel borgotarese, non lontano dal famoso chalet del Molinatico. La stanchezza ormai si fa un po' sentire e per questo a ogni salita la nostra guida giura, anzi spergiura, che è l'ultima: arrivati al Lago però , il pensiero è che la fatica ne è valsa la pena. Il lago Martino è un vero spettacolo d'acqua piena di pesci, tra cui i comuni pesci rossi da acquario, forse portati da qualcuno anni indietro e poi riprodottisi nella tranquillità della foresta. Qualcuno prova a gettare delle briciole di pane per attirare i pesci e vederli meglio: in effetti si spostano ma nella direzione opposta al cibo, probabilmente sono malfidati! Lasciamo il Lago con un nuovo obiettivo: il Termine del Gatto, un cippo ben più antico di quelli fatti posizionare da Maria Luigia. Lungo il percorso incrociamo il tronco di un abete bianco che analizzato negli anni '60 risultava avere 150 anni: gli appassionati del posto stanno lavorando affinchè i boscaioli non ne facciano legna da ardere. Io e Alessandro ci chiediamo a vicenda, visto che le strade non sembrano trattorabili o quelle che le ssembrano poi si restringono fino a diventare impervi sentierini, come facciano i boscaioli a portare via il mucchio di legna tagliata che ci appare nei dintorni e ci vengono in mente solo tre cose: teleferica, filo a sbalzo, mulo! La camminata prosegue fino alla Fontana Fredda, una sorgente di acqua buonissima e gelata dove ci abbeveriamo e cogliamo l'occasione per una piccola pausa, prima di riprendere " l'ultima salita" ( ormai non ci crediamo più). Più decisi che mai, salite o non salite, raggiungiamo il Termine del Gatto o Leone, dove Maria ci spiega le varie interpretazioni date a questa pietra risalente al '500. Terminate le spiegazioni, comincia la discesa verso il Passo della Cisa, dove riusciamo ad essere in poco più di mezz'ora: la nostra velocità è dovuta forse alla consapevolezza che al bar ci aspetta il CIScake, cioè il cheescake col disegno del Santuario della Cisa che ci aveva promesso al mattino Silvia, la titolare del locale. Una promessa mantenuta e accompagnata da un buon prosecco: buono il vino ma il Ciscake era insuperabile. E così, tra saluti, ringraziamenti e arrivederci, la nostra escursione è terminata. La schiena ha retto, le gambe pure, e La Pelata non è più solo nel mio immaginario.
FOTO DI MARIA MOLINARI
FOTO DI ALESSANDRO CAO