martedì 11 aprile 2017

ESCURSIONE NEI BOSCHI E NELLA STORIA- REPORTAGE DI VIAGGIO

 La Pelata:  un monte che è sempre stato al centro dei racconti dei vecchi del paese e dei miei famigliari,  i quali  ricordavano la vita rurale di una volta  quando  su quei monti  si andava alla ricerca di fragole  e altri frutti di bosco, quando  i pastori  portavano al pascolo le loro pecore e si fermavano a dormire  nelle loro capanne di pietra, quando la legna  si bruciava  per fare  il carbone. La Pelata:  un monte che è sempre stato nei miei pensieri e nel mio immaginario, un monte che  riesco a vedere praticamente da casa, ma sul quale  non sono mai stato. E così, quando casualmente, ho visto  sulla pagina Facebook dell'associazione Trekking TaroCeno che il primo aprile era  in programma un'escursione  proprio sulla Pelata, la suggestione è stata  troppo forte e    così sono andato  a vedere i dettagli del programma, scoprendo con piacere che la guida è Maria Molinari,  una ragazza che conosco da qualche tempo e so essere seria  e affidabile .  La  contatto  via Facebook e lei si propone di telefonarmi  il giorno dopo per darmi qualche dettaglio in più. Una promessa mantenuta, quella telefonata,  nella quale approfitto per avere qualche consiglio su abbigliamento e alimentazione per far fronte ai 14 chilometri dell'escursione: in effetti qualche camminata quando posso   la faccio  ma sempre per tratti molto più brevi e non posso certo considerarmi allenato. Appena finita la conversazione, mi fiondo in un negozio di abbigliamento sportivo  di amici per acquistare  il necessario.  Giunto a casa mi propongo, nel quasi-mese che manca alla data dell'escursione di fare qualche camminata per allenarmi: in effetti ci riesco anche se in maniera del tutto casuale. Il problema vero  è che   due giorni prima dell'escursione mi  assale il mal di schiena,   ma ormai sono troppo intrippato: non voglio rinunciare alla Pelata e poichè il dolore è sopportabile vado in farmacia a Berceto a chiedere  un rimedio dall'effetto immediato. Posso dire che l'amico farmacista mi ha consigliato davvero bene, poichè,  e qui faccio un salto in avanti,  il giorno dopo l'escursione il dolore alla schiena  mi è completamente passato, oltre a non aver avuto crampi o indolenzimenti di sorta. Ma tornando all'escursione , il ritrovo è previsto sul Passo della Cisa alle 9 e 30: passo prima da Montelungo dove devo prendere Giovanna, socia   molto attiva dell'Associazione Via Francigena Alta Lunigiana  che ho l'onore e di presiedere, e appassionata di trekking: ma quando la vedo sul terrazzo con una faccia da funerale capisco che c'è qualcosa che non va  e sul momento penso che abbia rinunciato all'escursione  ritenendola troppo impegnativa. In realtò, mentre mi offre un caffè e la vedo zoppicare vistosamente, capisco qual'è il problema: il suo ginocchio ha fatto le bizze. Dispiaciuto  vado sul Passo della Cisa dove, mentre verso la quota di iscrizione  a Maria, alle spalle mi saluta Alessandro, tesoriere dell'Associazione di cui sopra, giunto con un'amica per partecipare all'escursione, che si preannuncia essere un cammino  affascinante su un crinale che divide due regioni. Verificata la presenza di tutti e l'assenza degli indisponibili , si parte: ci fermiamo quasi subito ai piedi del Santuario della Cisa, davanti al monumento a Giuseppe Molinari, ( il comandante partigiano " Birra") i e Achille Pellizzari: due eroi della Resistenza della quale Maria traccia un approfondito e affascinante ritratto. Seconda pausa davanti alla Porta Toscana della Via Francigena, dove anche la mia associazione ha messo un cartello indicante un percorso alternativo della  Via Francigena ufficiale: la Via Francigena di Montelungo. Noi infatti  siamo nati  poichè non potevamo accettare che nel tratto pontremolese ufficiale  venisse escluso Montelungo,  documentato, come trentaduesima tappa nel diario di viaggio dell'Arcivescovo Sigerico, di ritorno da Roma a Canterbury.  Sigerico lo chiamava Sce Benedicte e infatti San Benedetto è il patrono del paese, a cui è intitolata la chiesa parrocchiale. La tradizione vuole inoltre che nel Palazzo, lo storico edificio,  oggi di proprietà del mio tesoriere e situato lungo la via che noi difendiamo a Montelungo, avesse sede lo xenodochio dei pellegrini, cioè l'ospitale per i viandanti, e che fosse gestito dai monaci benedettini. Maria mi concede l'onore di un breve discorso sui nostri scopi e su ciò che stiamo facendo per recuperare la via storica,  prima di addentrarci nei boschi, dove suscita subito la curiosità una pianta molto presente sul sentiero, che risulta essere aglio orsino. Si prosegue e si arriva a uno dei tanti cippi di pietra che delimitavano il confine tra Granducato di Toscana e Ducato di Parma e Piacenza ai tempi di Maria Luigia d'Asburgo. Qui Maria si sofferma a spiegare il fenomeno del brigantaggio e l'importanza del presidio umano nelle zone di confine.  Il cammino prosegue fino a un vecchio rifugio dell'ahimè soppressa ( e inglobata nei carabinieri) Forestale: tutti non possiamo fare a meno di notare che la coperturà è in eternit e quando qualcuno deciderà di  eliminarlo dovrà spendere un bel po' di soldi per lo smaltimento. Da qui in poi il percorso si fa più duro:  cominciano le salite, e che salite! Per fortuna, davanti a ciò che resta di una vecchia capanna in pietra dei pastori, si fa una pausa e la nostra brava guida si addentra ancora una volta nella  storia, raccontandoci della tradizione dei pastori  in queste zone, facendo immaginare al nostra palato il sapore di quella ricotta e di quel formaggio genuino che  oggi non si trova quasi più. Mentre continuiamo la salita verso il Monte Pelata, non posso fare a meno di notare i vari cartelli indicanti le varie riserve di funghi: c'è quello della Giogallo, la Cooperativa di Succisa che abbraccia anche Montelungo e Grondola, c'è quello del Consorzio di Valorizzazione dei Boschi di  Corchia- Bergotto e Valbona e più avanti, nel borgotarese, ci sarà    anche quello delle Comunalie  di Baselica.  Prima  di giungere in vetta alla Pelata,nell'ultimo tratto spiccano tanti  cippetti regolari dove  da un lato è incisa una P e dall'altro una B ( Pontremoli- Borgotaro? Forse tracciano un confine. O magari la B sta per Berceto, visto che una volta a Berceto apparteneva la frazione di Belforte, che è sotto di noi nel versante emiliano,  e che  oggi  si trova nel Comune di Borgotaro)  ma ci sono anche cippetti dove sono incisi dei numeri, probabilmente termini di confine tra le varie proprietà. Dimenticavo:  tra le cose  viste prima di giungere  sull'ambito  monte, anche diverse carbonaie. Maria si destreggia tra  il racconto sulla produzione del carbone,  mostrandoci anche delle illustrazioni, e i vari sentieri:   a volte seguiamo il famoso sentiero 00 di crinale, e a volte  ne usciamo prendendo  i cosiddetto < scurtoni> che  conosce lei: quel che è certo è che  la nostra guida conosce questi posti  come le sue tasche, sembra che Maria e la montagna siano una cosa sola. A mezzogiorno e quindici comunque, con oltre un'ora di anticipo rispetto al previsto, giungiamo sul Monte Pelata, 1428 metri di bellezza e di panorama mozzafiato: si vedono gli Appennini, le Alpi Apuane, il monte Cusna, Montelungo, la Valdantena, Pontremoli e la Lunigiana.  Vista l'ora  la pausa pranzo con uno spettacolo del genere sotto gli occhi  più che un diritto è un dovere.  E dopo lo spuntino, si riprende il cammino: dopo pochi minuti ci aspetta il punto più pericoloso di tutta l'escursione: un ripido  e stretto sentiero in discesa, sotto il quale si apre un precipizio che, per quanto io non soffra  di vertigini, mi fa pensare che se metto male i piedi  e cado  non sarà facile ritrovare le mie ossa.  Ma con calma e sangue freddo  giungiamo tutti al termine dello scosceso sentiero e ci immacchiamo nuovamente diretti  verso il Lago Martino, nel borgotarese, non lontano dal famoso chalet del Molinatico.  La stanchezza ormai si  fa un po' sentire e per questo a ogni salita la nostra guida giura, anzi spergiura, che è l'ultima: arrivati al Lago però ,  il pensiero è che la fatica ne è valsa la pena.  Il lago Martino è un vero spettacolo d'acqua piena di pesci, tra cui i comuni pesci rossi da acquario, forse portati da qualcuno anni indietro e poi riprodottisi nella tranquillità della foresta.  Qualcuno prova a gettare delle briciole di pane per attirare i pesci e vederli meglio: in effetti si spostano ma nella direzione opposta al cibo, probabilmente sono malfidati! Lasciamo il Lago con un nuovo obiettivo: il  Termine del Gatto, un cippo ben più antico di quelli fatti posizionare da Maria Luigia. Lungo il percorso incrociamo  il tronco di un abete bianco che analizzato negli anni '60 risultava avere 150 anni: gli appassionati del posto stanno lavorando affinchè i boscaioli non ne facciano legna da ardere. Io e Alessandro ci chiediamo a vicenda, visto che le strade non sembrano trattorabili o quelle che le ssembrano  poi si restringono fino a diventare  impervi sentierini, come facciano i boscaioli a portare via il mucchio di legna tagliata che ci appare nei dintorni e ci vengono in mente solo tre cose: teleferica, filo a sbalzo, mulo! La camminata prosegue fino alla Fontana Fredda, una sorgente di acqua buonissima   e gelata dove ci abbeveriamo e cogliamo l'occasione per una piccola pausa, prima di riprendere  " l'ultima  salita" ( ormai non ci crediamo più). Più decisi che mai,  salite o non salite, raggiungiamo il Termine del Gatto o Leone, dove Maria ci spiega le varie interpretazioni date a questa pietra risalente  al '500. Terminate le spiegazioni, comincia la discesa verso il Passo della Cisa, dove riusciamo ad essere  in poco più di mezz'ora: la nostra velocità è dovuta forse alla consapevolezza che al bar ci aspetta il CIScake, cioè il cheescake col disegno del Santuario  della Cisa che  ci aveva promesso al mattino Silvia, la titolare del locale. Una promessa mantenuta e accompagnata da un buon prosecco: buono il vino ma il Ciscake era insuperabile.  E così, tra saluti, ringraziamenti e arrivederci, la nostra escursione è terminata. La schiena ha retto, le gambe pure, e La Pelata non è più solo nel mio immaginario.

 FOTO DI MARIA MOLINARI 


FOTO DI ALESSANDRO CAO